sabato 12 ottobre 2013

Reminiscenze e consapevolezze

Questa notte ho sognato il mio primo giorno di università.
Lo ricordo proprio come se fosse ieri, è il caso di dirlo.
Arrivai tardi perché nessuno mi aveva detto dove fosse l'aula (nemmeno il bidello che ora vorrebbe sbaciucchiarmi ogni volta che mi vede, ma sa che se si azzarda muore), ma alla fine trovai la porta giusta.
Sì, non era scritto da nessuna parte: "Medicina I anno", questo sarebbe stato un miracolo.
Dopo essermi scusata per il ritardo, il docente di storia della medicina mi fa accomodare (non avevano ancora iniziato) e chiede ad ognuno di noi il perché volessimo intraprendere questa strada che ci porterà (così si dice) a fare il medico.
Non potrò mai dimenticare le parole del ragazzo prima di me: "fare il medico comporta un buon salario, prestigio e riconoscimento sociale". Disse proprio così e la mia faccia si tramutò in una maschera di schifo perenne, in quanto non so camuffare le emozioni e non me ne vergogno.
Quando poi il docente lo chiese a me, fu spontaneo per la sottoscritta parlare in modo caustico e velenoso, perché non mi sono mai trattenuta nel dire qualcosa, passando per un'acidona mestruata che non dà la pratica di anatomia da tempi immemori.
Dissi semplicemente così: "non ho degli ideali alti come chi ha parlato prima di me, ma avevo giurato a me stessa che non avrei mai più perso le persone che amo per via di una malattia". Ricordo bene il sorriso che mi rivolse il docente, per poi rispondere a quel ragazzo dicendogli che se è per questo che vuole fare il medico, allora continua a credere in questi falsi valori.
Me ne sono ricordata per il semplice motivo che, col passare del tempo, ho maturato dei motivi particolari per i quali voglio fare medicina legale (anche se ora sto valutando anche malattie infettive e ginecologia). E non è quello in cui dico scherzando: "è perché voglio scrivere legal thriller", questa è un'altra faccenda.
Sì, è vero, si ha a che fare spesso con i morti, ma un medico legale è anche un medico delle assicurazioni. Quanti falsi invalidi ci sono in Italia? Checco Zalone in "Cado dalle nubi" dice che ha un cugino (o zio) che con la pensione d'invalidità ne approfittava per girare il mondo, ma non era invalido.
In un film che si dice comico, io ci vedo degli spunti di riflessione (ecco perché dico io che è umoristico) per i quali provo ribrezzo per una società che non cambia mai, anzi, peggiora.
Mi piacerebbe molto essere severa e attenta nei controlli che un giorno (si spera) farò alle persone che chiederanno l'invalidità. Perché ci sono persone che meritano (oddio, non è colpa loro se hanno subito lesioni permanenti o cali di salute progressivi che li portano all'invalidità) un risarcimento per il loro benessere bio-psico-sociale non più ottimale, mentre poi, che so, Striscia la Notizia, fa vedere un sacco di casi di falsi invalidi.
Lo farei già per questo.
Ma non è solo questo il motivo, mi sono resa conto anche di altre cose che non coincidono col mio carattere bellicoso e fiero, mentre un medico deve essere umile e composto.
Per carità, non sono una superba a livelli eccezionali, ma sono rancorosa e vendicativa.
Il Giuramento d'Ippocrate afferma che non bisogna fare distinzioni di sesso, etnia, vita del paziente e che bisogna curare tutti indistintamente, ma se io mi trovassi davanti una persona che mi ha fatto del male (e parecchio male, e qui potrei fare nomi e cognomi), io sarei capace di muovermi a compassione e di aiutare questa gente?
Il mio animo segna a caratteri cubitali il no.
Brutto da dire, ma è così. Probabilmente sono una pessima persona, ma fin quando non violo le leggi morali dentro di me, non temo i giudizi degli altri. Io temo solo me stessa. E la Fenice Oscura che ho.
Coi morti non ci si pone il problema.
Questi non parlano, non mentono sui sintomi che hanno (non bisogna dare sempre la colpa al medico se la diagnosi è sbagliata, spesso i pazienti mentono o tacciono volutamente cose che sono importanti, ma per paura di scoprire che hanno chissà quale malattia "occultano tutto". E non è una gran bella cosa) e per me, che sono una persona che non sa rapportarsi facilmente con la gente perché sono scorbutica con chi a priori e a posteriori non mi ispira fiducia, anche se nel novantotto per cento dei casi ho ragione.
Con essi, poi, occorre maggior rispetto nel caso si chieda un'autopsia, un uomo non è un pezzo di carne, ma qualcuno a cui forse è stata negata la giustizia.
Mi ricordo che vidi la mia prima autopsia ed era di una ragazza violentata, uccisa e violentata post-mortem. Maroriata non una volta, due. Ora, ditemi voi, se avessi l'occasione di aiutare la legge per incastrare questo bastardo non lo farei? Se potessi lo ucciderei con le mie mani, figuratevi!
Non faccio di tutta l'erba un fascio, però quanti casi irrisolti (i famosi cold cases) ci sono? Tanti. E quante sono le persone che vorrebbero riabbracciare chi hanno perso e si "accontenterebbero" di vedere che giustizia è fatta? Tante.
E io? Io... vorrei aiutarle. Penso di aver trovato il mio cammino personale di essere un medico senza però rinunciare al mio carattere e al mio modo di fare.
Non sono una di quelle persone che si annullerebbero per gli altri, o meglio, ho imparato a non esserlo più.
Ora però, occorre che io mi dia da fare affinché l'anno prossimo possa trasferirmi in un'università migliore. Sento di meritarmelo, in fin dei conti.

domenica 6 ottobre 2013

Recensione: Lady Susan. Parte due.

Ed eccomi qui, con gli Alter Bridge nelle orecchie, pronta per una recensione che spero sia quantomeno obiettiva all'inizio, perché si sa, quando poi occorre parlare del gradimento personale, è logico che l'imparzialità sfumi e vada via.
Ribadisco, per chi non lo sapesse e per chi non mi conosce, che non sono una fan della Austen, non l'adoro per nulla. I miei generi e autori preferiti sono altri, e spero un giorno di parlare dei quindici romanzi che amo.
L'ho letto per la prima volta in italiano quest'estate, grazie all'iniziativa promossa dalla Newton dei famosi libri a novantanove centesimi e, sebbene si possano fare critiche a livello di traduzione – eh, cosa vi aspettate da una che a momenti parla meglio l'inglese dell'italiano? – o anche per la copertina, la carta e qualsiasi altra cosa, il prezzo relativamente basso permette di dire di aver trovato un romanzo “classico” regalato. Lo avevo letto al liceo in inglese, ma dato che lo studio mi sta prendendo molto tempo ed energie, non avevo proprio le forze per leggere tutto due volte, in inglese e in italiano, per fare confronti, cosa che adoro fare.

Si tratta di un romanzo epistolare narrato in quarantuno lettere (non è la prima volta che leggo questo sottogenere, anzi, uno dei miei romanzi preferiti – I dolori del giovane Werther – lo è, come anche Le ultime lettere di Jacopo Ortis, Le relazioni pericolose, Julie o la nuova Eloisa, Iperione, Va' dove ti porta il cuore) e la protagonista è colei che dà nome al romanzo stesso, una donna senza scrupoli, arguta e spregiudicata, che non esita a sfruttare tutti i mezzi a sua disposizione per far sì che i suoi obiettivi siano raggiunti. Occorre aggiungere il “pregio” da lei posseduto, ovvero la capacità di manipolare la gente – inclusa sua figlia, che odia e che viene a mio dire trattata da sua madre come una merce di scambio per chissà quale compravendita – ed è degno di nota, così come anche la sua attitudine a saper distorcere la realtà con i suoi modi di fare, senz'altro attraenti, dato che riescono a imbambolare parecchia gente, specie gli uomini.
Ella si confida con la sua amica Alicia in una serie di carteggi molto diretti, all'interno dei quali si leggono molto chiaramente i suoi disegni, i suoi raggiri, le manipolazioni, raccontati in modo diretto, attestanti la sua natura fredda, cinica e calcolatrice.
In questo mondo borghese e da salotto, ecco che Lady Susan tesse e ordisce le sue trame, ma non dico di più, perché non so se lo avete letto o meno.

Susan è stata paragonata per antipatia a Rossella O'Hara oppure a Dolores Umbridge (per chi ama la saga potteriana, e non figuro nemmeno in questa categoria di persone, pur rispettandole), ma non sono d'accordo, perché la prima anche se agisce in un modo di fare che non condivido, lo fa per amore, lasciando che il suo impeto e il suo sentimento possa sempre emergere, mentre la seconda è sì antipatica, ma non suggerisce la stessa antipatia di Lady Susan, perché a quanto ricordo, la Umbridge non è così manipolatrice come la donna creata dalla Austen. Se proprio si vuol fare un azzardo potteriano, io direi al massimo Rita Skeeter, colei che distorce tutte le informazioni per raggiungere i suoi scopi editoriali e non solo.
Mi sembra già un paragone più giusto, ma è solo il mio parere da petulante lettrice.
La donna che vedo più simile a Susan, però, è una ragazza, tratteggiata da Philip Roth – sì, è uno dei miei romanzieri preferiti – in Ho sposato un comunista, Sylphid Frame, figliastra del protagonista, Iron Rinn.
Questa ragazza pare Susan da giovane, con la differenza che con i suoi modi di fare è lei che plagia e plasma sua madre, Eve, trattandola malissimo, cercando di avere le sue attenzioni, al punto da istigare la madre a rovinare Iron, colui che l'aveva amata per davvero e che Sylphid vedeva come una minaccia.
Il modo di agire di Sylphid, fatto da moine, gesti da melodramma, capaci di muovere e commuovere la gente – tranne Iron, che vedeva come trattava la madre –, in primis Eve di modo che si facesse solo ciò che voleva lei, mi ha disarmata, con la differenza che Roth, da cinico (e dalle attitudini pessimiste che in parte condivido) non danno un epilogo diciamo lieto rispetto a quello che la Austen dà al suo primo romanzo, definito spesso sperimentale.

Quando leggo un romanzo, spesso mi dico e mi chiedo "c'è qualcuno che conosco che ha il nome del/la protagonista?", perché nel caso, prima di avventurarmi nel mondo fatto di parole, devo prima spogliarmi dei giudizi e dei preconcetti che potrei avere su quella persona che non mi permetterebbe di essere imparziale e di lasciarmi coinvolgere appieno dalla storia.
Non conoscendo nessuna Susanna, Susan o altro, non ho avuto questo pregiudizio, ma leggendo e scoprendo la Susan della Austen, sono riuscita a contestualizzare il fatto che donne così esistono anche nel nostro quotidiano e io ne conosco quattro, che hanno fattezze caratteriali simili a Lady Susan.
Come dicevo già, una è mia nonna paterna (con la quale non ho un rapporto affettivo e posso dire che da piccola ho provato a cercare di farmi voler bene, cosa che poi, da grande, ho capito che non devo più fare con nessuno) e le altre sono... diciamo solo due ex compagne di scuola e quella strega che ha mutato colui che pensavo fosse il mio Marc Darcy in un Daniel Cleaver. Razza crudele.
Do dunque il merito alla Austen di aver tratteggiato una donna che è possibile riscontrare e trovare anche attualmente, se non peggiorata, data la società attuale e da qui ho pensato: ma è mai possibile che l'umanità sia sempre rimasta la stessa anche negli atteggiamenti?
Da un romanzo per me "leggero", trovo anche modo di riflettere e questa cosa mi garba punto.

Questo romanzo lascia presagire ciò che la scrittrice inglese darà ai suoi romanzi, ovvero l'arguzia tipica dei suoi personaggi femminili e quant'altro, però perché a me non piace?
Sarà per l'ambientazione e il contesto storico che mi pare limitato (okay, è quello in cui l'autrice vive e agisce e sono la prima a dire che si può scrivere di ciò che si sa), ma non so, le città di provincia, le chiacchiere da donne le cui uniche ambizioni paiono essere "cercare un marito e avere una sfilza di bambini" (non tutte ovviamente, è un discorso generale quello che sto facendo), non mi permettono forse di apprezzare quest'autrice, le cui parole e le cui eroine non mi suggeriscono assolutamente nulla.
Che dire? Nemmeno lo stile è uno dei miei preferiti. E questa è una cosa per me assoluta e assolutamente opinabile per chi non la pensa come me. Per dire, preferisco di gran lunga Cime Tempestose, se devo citare un romanzo dell'epoca, ma non è che vada pazza di esso.
Si tratta semplicemente del mio carattere e del mio modo di fare, ma consiglio comunque la lettura di questo libro perché è pur sempre lo specchio di una parte limitata del contesto storico e sociale del tempo e dà quindi un riflesso del mondo femminile vissuto dalla donna ancor prima di essere scrittrice.

sabato 5 ottobre 2013

Recensione: Lady Susan, parte uno. Premessa.

Per me è abbastanza strano scrivere una recensione su un'opera di un'autrice che non ho mai sopportato, anzi.
Lo dico però, con cognizione di causa, perché ho letto tutti i suoi testi, anche in lingua, e quindi ho potuto conoscere bene lo stile della Austen, l'ambientazione dei suoi scritti, i suoi personaggi e così via.
Il suo primo libro che lessi – avevo quindici anni – fu “Ragione e Sentimento”, seguito da “Orgoglio e Pregiudizio”. Li lessi prima che li studiai in letteratura inglese, anche se nel mio caso, non ho imparato granché a scuola, ma studiavo a casa da sola, per cultura personale.
Non mi piacquero per nulla e quindi sarebbe logico (forse) chiedersi perché io abbia continuato a leggere Jane Austen.
La risposta è semplice. Il mentore di tutta una vita – nonché la persona da me più amata – mio nonno, mi ha sempre insegnato che non posso giudicare una cosa se non la conosco. E non devo fermarmi al primo ostacolo che incontro, sia essa una difficoltà riguardante a cose e persone, perché così sarei rimasta ancorata a quelli che Kant chiamava giudizi sintetici a priori, in quanto, sebbene mi fossi addentrata nell'argomento, non ho approfondito il tutto.
Iniziando con la dovuta premessa de gustibus non disputandum est (giusto per citare Cicerone, che mi sa ha fatto la sua fortuna postuma solo con questa frase molto usata), voglio solo citare in un elenco quali sono le donne di libri e romanzi che adoro, e che corrispondono molto, molto bene all'ideale di donna forte, determinata, volitiva e in gamba che piace a me.
Per chi mi conosce bene, mi si potrebbe dire una frase del tipo "queste ragazze hanno dei tratti del carattere in comune con te" e io dirò semplicemente: sì, è così.
Non sono un'egocentrica montata di testa, ma semplicemente una ragazza che sa che, nel caso ne incontrasse una, si innamorerebbe di una esattamente uguale o simile a se stessa, in virtù del fatto che ci sarebbe comunque confronto e arricchimento morale e non solo.
Bigotti e moralisti si astengano dal fare commenti poco carini, perché poi non rispondo delle mie parole, eh.
E dunque, ecco le mie donne letterarie preferite:



Queste sono rispettivamente Ellen, Aliena e Caris, create da Ken Follett e che figurano in "I pilastri della terra" (le prime due) e "Mondo senza fine" (Caris).
Aggiungo poi lei, Lisbeth Salander, co-protagonista della trilogia Millennium di Stieg Larsson:




Passo subito a dirvi perché adoro queste donne, non senza far riferimento al contesto storico in cui esse vivono e agiscono.
Dire che amo Ken Follett è poco, sebbene il suo primo romanzo che lessi, "La cruna dell'ago", mi fece non poco ribrezzo, ma lo rivalutai subito, però queste donne che vivono nel medioevo (Caris duecento anni dopo Ellen e Aliena), nella cittadina fittizia di Kingsbridge, sanno il fatto loro e mi piacciono molto.

Ellen è una donna forte, determinata, che ha allevato da sola il suo unico figlio, Jack, dandogli un'educazione non indifferente per quell'epoca. Parla più lingue, sa fare lavori maschili, ed è una donna indipendente che ha il suo credo personale e non ama i dogmi della Chiesa che vede come un ostacolo per la pienezza della vita dell'uomo, e per questo viene tacciata anche di stregoneria oltre che di eresia.
Si è innamorata di due soli uomini, il padre di Jack e di Tom il costruttore e con quest'ultimo non è che per amore si sia sottomessa a lui. Ha chiesto e preteso un rapporto paritario e non di sudditanza (come fa anche Caris) con lui, anche a livello fisico e sessuale, proprio perché lei è uno spirito libero e come tale vuole vivere, anche se ha un grande cuore per chi ama e non esita a diventare aggressiva come un lupo per difendere i suoi cari.
Quanto mi somiglia da uno a dieci: punteggio pieno.

Aliena è una donna che per via delle sue vicissitudini da contessina viziata impara a rinascere dalle sue ceneri, più volte; ha visto la miseria, ha subito violenza, ma non per questo si è piegata al destino triste che le stava capitando, al contrario, si è rialzata e alla fine Jack, il figlio di Ellen, è riuscito a far breccia nel suo cuore talmente indurito che pensava che non si sarebbe mai innamorata e non sarebbe mai stata felice.
Quanto mi somiglia da uno a dieci: otto e mezzo, ma non dico il perché in caso non abbiate letto il libro, non amo fare spoiler.

Caris odia il fatto che le donne non possono studiare Medicina (e già da qui ha la mia simpatia), è piena di inventiva e ha la capacità di saper osservare bene le persone, inquadrandole, ma non per questo ha i paraocchi. Anche se inglese, in lei vive proprio quella libertà culturale e la fierezza del Rinascimento italiano.
Come Ellen, pur amando, non desidera essere una schiava dell'uomo che ama, e, per i suoi principi morali si scontra spesso e volentieri con il suo Merthin.
Diventa suora per necessità e da lì vede che può fare qualcosa per la sua città, diventando, anche senza titolo, un medico a tutti gli effetti.
Quanto mi somiglia da uno a dieci: idem Aliena, ma non spoilero nulla anche qui.

Passando al compianto Stieg Larsson, ha creato un personaggio a mio dire degno di nota, fuori dagli schemi, e per questo assolutamente affascinante.

Lisbeth è un'hacker professionista, è bisessuale e ha avuto un'infanzia difficilissima, ma non per questo si è demoralizzata, e anche se ha perso la capacità di agire, non vuol dire che ella non sappia cosa dire e cosa fare. Ha un particolare intuito al punto da rasentare la genialità (si pensa nei romanzi che abbia la sindrome di Asperger, ma lo scrittore non è vissuto abbastanza per scrivere tutti i libri che pensava di creare per la saga) e ama la matematica. Prova sentimenti contrastanti verso se stessa e verso chi ama, ma è un'accesa sostenitrice dei diritti delle donne e a modo suo è una paladina di tutte le donne maltrattate e altro ancora.
Quanto mi somiglia da uno a dieci: otto, questo perché, fortunatamente, non ho vissuto ciò che ha patito lei.

Questo è un quadro generale delle mie "eroine", spero di essere all'altezza domattina di parlare di Lady Susan con lo stesso entusiasmo di come ho parlato di loro!